Roma (Italia). Il 16 aprile 2025, con la preghiera ecumenica conclusiva e l’esposizione delle opere realizzate nei tre giorni, si è conclusa a Roma, sulla Terrazza del Pincio, la mostra-laboratorio interculturale ed interreligioso Porte aperte alla speranza, a cura di Fondazione Migrantes, Earth Day Italia e Associazione Madonnari Rodomonte Gonzaga, parte del progetto “Open Doors”, sviluppato in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede.
Tra gli artisti provenienti da varie parti d’Italia e del mondo, era presente anche una rappresentanza della Casa di Preghiera San Biagio, delle Figlie di Maria Ausiliatrice dell’Ispettoria San Giovanni Bosco (IRO), che nei tre giorni ha lavorato sull’icona rappresentativa del brano evangelico dei discepoli di Emmaus.
Intervistate da Vatican News, le protagoniste illustrano il significato della loro partecipazione e lo spirito dell’iniziativa:
“L’iconografia è una delle attività che noi proponiamo ed è l’incontro con la Parola fatta immagine e colori. Attraverso l’ascolto della Parola, si passa poi all’immagine e al colore, come incontro e relazione con il Dio della Vita”, spiega suor Vilma Colombo, FMA, Direttrice della Comunità San Biagio, presente nei tre giorni con suor Annie De Wacheter, iconografa dell’Ispettoria Sacro Cuore (BEG) del Belgio Nord.
Mentre Ilaria Mondati, allieva della scuola di iconografia, approfondisce la scelta dell’icona di Emmaus: “Abbiamo scelto i discepoli di Emmaus per rappresentare innanzitutto il Giubileo, come pellegrini di speranza. Gesù Cristo qui cammina con i discepoli, li incontra lì dove sono, nella propria vita ma a volte anche nelle proprie tristezze, nei propri dolori. È un Gesù che si fa vivo e cammina con noi. È un segno di dialogo e unità. Infatti in questo grande evento siamo con altre religioni, appunto per essere segno di speranza, in un mondo dilaniato dalla guerra, dalle divisioni”.
La testimonianza di Benedetta Ferrone, un’altra partecipante di San Biagio:
“Eravamo una trentina di artisti provenienti da varie parte di Italia, ognuno con la sua opera che ha preso forma durante i tre giorni, sotto gli occhi di tantissime persone e turisti da tutto il mondo che, incuriositi, si avvicinavano, sostavano e chiedevano informazioni, abbracciati da una Roma bellissima e suggestiva, affacciati sulla Terrazza del Pincio a Villa Borghese.
A rappresentare la Casa di preghiera di San Biagio eravamo un gruppo di cinque, a cui si è aggiunto qualcuno durante la mostra. In tre abbiamo scritto le icone dei discepoli di Emmaus donate, a conclusione dell’evento, alla mostra che – nei prossimi mesi – sarà itinerante per tutta l’Italia.
Rientrando a casa e vivendo questi giorni speciali in cui ricordiamo l’Amore più grande che ha avuto Gesù per ciascuno, sono sempre più sicura che non è stato un caso che la mostra si sia svolta durante i giorni della Settimana santa.
Mi sono chiesta che cosa significa per me santificare le mie giornate. Credo che la santità sia avere il coraggio della speranza. Il coraggio di credere che lo straordinario possa entrare nell’ordinario e mescolarsi lì, come l’emulsione all’uovo e il vino che danno vita, insieme alle terre, ai colori che utilizziamo per scrivere un’icona. Umanità e divinità che stanno insieme, perché con la venuta di Gesù non esiste più una dualità tra umano e divino, ma dentro le pieghe della storia di ciascuno, anche quella più tortuosa e fragile, si cela un mistero d’amore più grande.
Ecco cosa sono stati questi giorni per me. L’incontro con l’Amore più grande. Tangibile, reale, concreto, fatto di storie, di volti, di nomi e modi diversi attraverso cui esprimere il proprio credo, ma tutto permeato dal rispetto, dalla stima e dall’impegno ad essere viandanti e testimoni di fraternità.
Uno degli artisti presenti, induista, a un certo punto ha citato la cosiddetta Regola d’Oro, presente in tutte le religioni, che si esprime con ‘Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te’. Il comandamento dell’amore, quello che ci ha lasciato Gesù e che abbiamo appena ricordato nel giovedì santo, ci dice chiaramente che l’amore non è un mero comandamento, ma l’essenza di ciascuno, verso cui andiamo, tendiamo se abbiamo il coraggio di sperare, anche se quello che succede attorno a noi grida il contrario.
C’è un popolo che crede e testimonia che la bellezza è un linguaggio che unisce, che smuove i cuori e genera pace. E che, per riprendere le parole di don Tonino Bello, ‘la pace, prima che traguardo, è cammino’.
In questo sabato santo, preludio della Pasqua, dentro il giubileo della Speranza, possa il nostro cuore, sull’esempio di Maria, essere questo stabat che conserva nel cuore la speranza che genera cambiamento, perché l’ultima parola sarà sempre l’Amore”.
Le opere sono rimaste alla Fondazione Migrantes e faranno il giro di tutta l’Italia per momenti di preghiera, di esposizione, di incontro tra le diverse religioni.